“Quanto a quelle di Milziade e di Temistocle, sono state dedicate, cambiando iscrizione, a un romano e a un trace” Pausania, Periegesi della Grecia, I, 18, 3.
“I pittori e gli scultori dipingono e scolpiscono l’immagine di Pan come i Greci, con il volto caprino e le zampe da capro, benché non ritengano che sia tale, ma simile agli altri dei.” Erodoto, II, 46
Pausania registra indebiti cambiamenti di soggetti, ai danni di statue che rimangono uguali e che in origine erano pensate come ritratti… Erodoto invece annota paziente le tante “coincidenze” durante il suo viaggio egiziano, cercando di comprendere e di risalire più indietro possibile per assegnare la palma del “c’ero prima io!”.
… Così il caro, vecchio, padre della Storia, guarda una raffigurazione familiare e la ricollega immediatamente a Pan, altrettanto fa con altre statue, con i rituali perfino, come in un immenso gioco di Memory… Ecco, senza peccare di immodestia e ben comprendendo le distanze cronologiche e intellettuali (!) anche la mia estate mi ha sottoposto una curiosa sequenza di congruenze…
Tutto è cominciato da una riflessione sui luoghi di Firenze rinnovati in clima di Unità d’Italia: una serie di incontri che dovevano dare un’idea dell’evoluzione storico-urbanistica di un quartiere ben preciso, tenendo presenti le trasformazioni di tutta l’area urbana.
Una storia, tanto nota quanto curiosa, aveva attratto la mia attenzione – e quella di chi mi ascoltava ripeterla: San Miniato, il martire che a Firenze ha ormai perso la sua fisicità ed è assimilato nel bagliore dorato del mosaico sulla facciata al di sopra del cimitero delle Porte Sante, al di sopra di Piazzale Michelangelo, al di sopra della città tutta, è in effetti il nome di un principe armeno giunto a Florentia nel III sec. d.C. e ucciso perché ostinato nella sua nuova fede e poco propenso ad accontentare le richieste dei centurioni di turno (che obbedivano solo a degli ordini, naturalmente). La storia si fa interessante proprio al momento del martirio, avvenuto presso l’anfiteatro della città, vicino alla odierna Piazza Santa Croce. Pare infatti che non fosse così facile uccidere il nobile straniero e che, solo dopo vari tentativi, i carnefici si risolsero a decapitarlo, pensando in tal modo di porre fine alle sue e alle loro fatiche… Ma il Santo volle avere l’ultima parola e così, presa in mano la propria testa mozzata, si incamminò verso l’Arno, lo oltrepassò e cominciò l’ascesa sulla vicina collina, fermandosi solo nel luogo in cui – in seguito – sarebbe stata costruita la chiesa di San Miniato al Monte.
Fin qui la storia, o meglio la leggenda costruita a tavolino probabilmente intorno all’XI sec. d.C., per spiegare la traslazione delle reliquie del Santo dalla chiesa di San Miniato presso il foro romano dell’età pagana (oggi Piazza della Repubblica). Niente di meglio che attribuire allo stesso Miniato la scelta “politica” della nuova sistemazione…
L’immagine del Santo con la testa sottobraccio mi ha incuriosito non poco; per questo, devo aver fatto una faccia non dissimile da quella di Erodoto di fronte al Pan egizio, quando a luglio mi sono imbattuta nella facciata di Notre Dame, a Parigi….
La prima reazione è stata di trovarmi di fronte al grande Miniato! … Ho pensato anche alla fama del povero decollato, l’ho perfino stimato un po’ di più, se possibile.
Poi ho registrato l’informazione, decisa a raccogliere maggiori notizie una volta terminato il concitato viaggio con i giovani nordamericani.
La ricerca, davvero breve, mi ha tolto ogni speranza di un tour oltralpe dell’armeno di Firenze: il volto rigido e composto è quello di Saint Denis, patrono di Parigi.
Il vescovo Dionisio giunge a Parigi/Lutetia nel III sec., più o meno negli stessi anni in cui Miniato subisce il martirio fiorentino (si tratta del principato di Decio, imperatore famoso per un atteggiamento piuttosto stizzoso nei confronti dei testimoni di Cristo), qui pare arrivare con Rustico e Libero, due compagni di scorribande evangeliche e secondo alcuni semplici “doppi” del protagonista (Dionisio è lett. “dedicato a Diòniso”, Rustico rimanda all’aspetto agreste del dio del vino e Libero è uno degli epiteti del Bacco romano). I tre non riscuotono successo presso i difensori della romanità della Gallia e vengono giustiziati; ma ecco che il vescovo raccoglie la testa fatta rotolare dal boia e dal colle di Montmartre (lett. monte del martirio) si dirige attraverso una strada che sarà rinominata Rue des Martyrs fino a giungere al cospetto di una nobile romana, Catulla, per consegnarle la testa e quindi accasciarsi. La famiglia di Catulla possedeva quel terreno che il vescovo sceglie come ultima dimora e dove sarà quindi eretta l’attuale abbazia di Saint Denis.
La mia mente non ha potuto fare a meno di notare particolari curiosamente identici, come la nobiltà del martire (principe o vescovo, da un punto di vista del censo e del ruolo non sono così distanti), la contemporaneità dell’evento (questo Decio pare fosse piuttosto suscettibile…) e la circostanza dell’ascesa al monte (inevitabile il pensiero corre a Petrarca e al trekking così tormentato… ma certamente quella è un’altra storia!).
In ogni caso, ho rimandato ad altro momento una ricerca più approfondita per capire – il virus iconologico, una volta contratto, non è facile da contenere – quale collegamento poteva mai esserci tra questi due lontani testimoni di III secolo… fino a quando non mi sono trovata a gironzolare per qualche giorno tra le colline senesi e a visitare Pienza (tappa obbligata quando passo da quelle parti!). Ebbene, giro l’angolo di una delle 4 vie che animano il borgo del Rossellino e mi imbatto in .. questo:
ovviamente comincio a fare un calcolo delle probabilità… San Miniato o Saint Denis?? siamo a Pienza, in Toscana, sarà il principe armeno naturalizzato fiorentino.. quasi certamente!
Le successive ricerche mi propongono un tertium, per una volta datur: San Regolo!
In questi anni di immigrati o di migranti, di Nord Africa in fiamme e Italiani brava gente, scopro che Regolo era un vescovo africano, costretto a scappare dalle locali persecuzioni. Insieme a Cerbone e Giusto approda in Italia, a Populonia, dove il trio si dedica all’eremitismo e diventa presto popolare grazie a numerosi miracoli. Totila, incuriosito, si interessa a lui ma Regolo “declina” l’invito del re ostrogoto e per questo – dicono le cronache – viene punito con la decapitazione.
Ma ecco che anche Regolo non accetta di morire nel luogo scelto dal boia e così raccoglie la sua testa e si sposta… questa volta pare per 300 metri (direi un fatto di puntiglio, più che altro); qui i suoi compagni lo seppelliscono ed erigono una chiesa. In seguito le sue reliquie verranno portate a Lucca e tutt’ora sono conservate nel Duomo di San Martino.
Quest’ultima agiografia è un poco più recente, si parla infatti del VI sec. e delle lotte scatenate dall’eresia ariana, di cui Regolo era fiero oppositore. La traslazione delle reliquie a Lucca è associata, secondo alcuni, alla definitiva conversione dei Longobardi e per questo il Santo gode di una certa popolarità, tanto da essere, a volte, confuso con San Cerbone. Dunque non stupisce trovare a Pienza una statua lignea, opera di Domenico di Niccolò “dei Cori”, datata a metà del ‘400 e conservata insieme a quella raffigurante San Leonardo, importante monaco cluniacense, anch’egli legato alla nascita di abbazie immerse nei boschi non solo toscani.
Dunque, ricapitolando… quest’ultimo incontro mi ha dato la possibilità di sbirciare negli elenchi di martirologi cristiani, dove spiccano i c.d. cefalofori: martiri che raccolgono la propria testa e compiono qualche passo per depositarla in un luogo a loro più congeniale. Unico tratto comune: la leggenda della loro morte risale inevitabilmente al X o XI sec. ed è chiaramente una ricostruzione che serve a spiegare la presenza di reliquie in un’epoca che dei pellegrinaggi fa un vero e proprio business e delle ossa sante un merchandising ante litteram.
Una chiacchierata con l’amico Fabrizio Paolucci mi ha chiarito la questione della decapitazione nel III sec., quando si datano le ultime grandi persecuzioni imperiali che potevano concludersi con la pena capitale riservata ai cittadini romani, per l’appunto la decapitazione.
Quanto a Regolo, sembrerebbe al centro di quel delicato momento di cristianizzazione dei c.d. barbari, quando l’eresia ariana e l’ortodossia dell’uno o dell’altro Concilio si affrontano per vedere chi la spunta. Ma l’elenco dei cefalofori è lungo, comprende poche donne ed è quasi sempre collegato a personaggi di una qualche importanza, per lo più vescovi, la cui testa diventa meta di pellegrinaggi e soprattutto fonte di miracolose guarigioni.
Niente di nuovo sotto il sole? Infatti.. tranne la coincidenza di questi tre personaggi decollati che mi hanno salutato in luoghi molto diversi, offrendomi un esempio tangibile del concetto di schema iconografico (una immagine che si ripete, uguale a se stessa) e di interpretazione iconologica (quella stessa immagine assume significati diversi, perché il “tipo” del vescovo martire decollato e cefaloforo si applica a personaggi distanti nello spazio e nel tempo).
Caro Erodoto…è questo allora il brivido? L’idea che in luoghi e momenti diversi ci possano essere identici modi di esprimere un avvenimento? Oppure, ancora più suggestivo, l’eventualità che uno stesso spirito guidi le idee di genti lontane, così da creare quello che oggi, in linguaggio televisivo, chiamiamo format e da assegnarlo a storie che entrano nel folklore esattamente come le antiche “ballate” degli eroi omerici …
Per ultimo regnò sull’Egitto Oro, figlio di Osiride, che i Greci chiamano Apollo. Questi, deposto Tifone [Seth], per ultimo regnò sull’Egitto. Osiris poi in lingua greca è Dioniso. (II, 144) (…) L’isola chiamata Chemmi (…) Gli Egiziani dicono che essa è natante e aggiungono il seguente racconto, che in quest’isola, che non era prima natante, Latona (…) proprio dove ora c’è questo suo oracolo, avendo ricevuto in deposito da Iside Apollo lo salvò nascondendolo in quest’isola detta ora natante. (…) Apollo e Artemide dicono siano figli di Dioniso e di Iside, e che Latona sia stata la loro nutrice e salvatrice. In Egiziano Apollo è Orus, Demetra Iside, Artemide Bubasti. (…) L’isola divenne dunque natante per questa ragione; così almeno essi raccontano. (II, 156)
Beh, pare che certe idee vengano in mente un po’ in tutto il mondo, ed è poi difficile capire qual è l’archetipo iniziale, se ce n’è stato solo uno da cui tutti gli altri derivano o se ce ne sono vari, più o meno contemporanei….
Prendi il mito del diluvio, che c’è un po’ in tutte le culture, o i miti della creazione, o l’idea di fare una bella costruzioncina larga alla base che si restringe man mano per dare l’idea dell’ascesa verso gli dei (intendo tutte le varie piramidi sparse per il globo).