Il piano dell’Acropoli era una gloriosa follia.
Consisteva nell’occupare il recinto archeologico all’ora in cui viene chiuso al pubblico, poi nell’innalzare la bandiera rossa sul Partenone, non perché ti piacesse il conformismo della bandiera rossa ma perché il rosso dava fastidio alla Giunta e spiccava bene sul bianco dei marmi, infine nel tenere il Partenone in ostaggio con la minaccia di farlo saltare in aria.
“Alekos, due saponette di tritolo non basterebbero neanche a far saltare in aria una colonna!” “Naturalmente. Ma loro non lo sanno che abbiamo due saponette e basta. E appena ne avrò fatta esplodere una a scopo dimostrativo …” “Non ti crederanno” “Mi crederanno. Perché mi credono capace di tutto, anche di distruggere il Partenone” “Lo distruggeresti davvero?”
“Neanche morto”
In un primo tempo avevi pensato anche di catturare un certo numero di turisti, possibilmente americani, ma poi avevi concluso che sarebbero stati di impiccio perché avrebbero tentato di scappare, avrebbero avuto bisogno di cibo, di acqua, magari di medicine. Insomma avrebbero rotto le scatole.
Il Partenone invece non beve, non mangia, non scappa, non ha bisogno di medicine.
Inoltre, quale ostaggio avrebbe potuto essere più prezioso del Partenone? Chi amava la bellezza e la cultura, dicevi, non aveva ancora cessato di maledire quel Koenigsmarck che nel 1687 lo aveva preso a cannonate per stanare i turchi, e i turchi che ci avevano messo una polveriera.
Perdere ciò che era rimasto del Partenone, quindi, sarebbe stato come perdere il simbolo stesso della civiltà: il mondo intero sarebbe insorto a difesa delle sue quarantasei colonne, tuttele ambasciate sarebbero intervenute presso la Giunta per supplicarla ad accettare le tue richieste.
[…Alekos parla con alcuni suoi accoliti che cercano di calcolare quanta dinamite ci voglia per far saltare il Partenone. Nessuno vuole farlo davvero saltare in aria, ma è indispensabile fare in modo che la Giunta creda che Alekos e compagni siano in grado di farlo]
“Non c’è nessun bisogno di quella dinamite. Mi hai dato un’idea. Non dovremo portare che quarantasei sacchi vuoti, due o trecento metri di nastro adesivo ben forte e un rotolo di filo elettrico. L’Acropoli è piena di pietre e nessuno saprà cosa abbiamo messo nei sacchi”.
[il piano non sembra riuscire, nessuno ci crede veramente, Alekos decide di andare a Creta a reclutare i suoi guerriglieri]
La storia dei sacchi da legare alle colonne t’era piaciuta a tal punto da ispirarti una diavoleria supplementare: oltre a riempirli di pietre e zavorra, anziché esplosivo, li avresti usati per comporre uno slogan che girasse intorno al Partenone. “Sul marmo non possiamo scrivere nulla: a parte le scanalature che lo impedirebbero, sporcare il Partenone con la vernice sarebbe un vero delitto. Sui sacchi invece possiamo scrivere quel che ci piace. Ogni colonna un sacco, ogni sacco una lettera: lo slogan si leggerà da lontano. Non è una trovata?”
Lo era. Il problema stava nello scegliere parole le cui lettere corrispondessero al numero delle colonne sia sulla facciata che sul retro e sulle fiancate del tempio. La facciata e il retro contavano otto colonne, su di esse quindi la parola non poteva superare le otto lettere; le fiancate contavano diciassette colonne, su di esse quindi la parola o le parole non potevano superare le diciassette lettere. Però le quattro colonne d’angolo non potevano contenere una lettera di qua e una di là, avrebbe creato confusione, e riduceva a sei lettere la parola sulla facciata e sul retro, oppure a quindici lettere le parole sulle fiancate. Senza contare la faccenda degli spazi bianchi che ti facevano addirittura impazzire perché, a causa di quelli, tutti i vocaboli sembravano troppo lunghi o troppo brevi. Alla fine trovammo una frase che andava quasi bene perché si componeva di otto parole per un totale di quarantaquattro lettere e sette spazi bianchi:
Agonas dia tin elefteria – Agonas kata tis tirannias
(Lotta per la libertà – Lotta contro la tirannia).
La frase aveva un senso, dicesti, girava intorno al Partenone in modo armonioso, e all’inferno l’estetica: avresti compresso l’articolo tis su due colonne mettendoci un unico sacco, grande.
Oriana Fallaci, Un uomo, Rizzoli 1979, pp. 166-175
La storia di Alekos Panagulis, della sua battaglia contro i Colonnelli, della sua tenacia e della sua follia.
Oggi come allora la Grecia lotta e il Partenone è protagonista immobile e centrale. Da una parte i Greci lo utilizzano come simbolo della loro identità nazionale, che non si può piegare sotto a nessun tipo di tirannia, né politica né economica (come se si potessero scindere i due aspetti). Dall’altra le Nazioni “virtuose” pensano di poterne fare una merce di scambio, forse fuorviate dall’annosa questione dei marmi Elgin, ritengono che quelle colonne possano servire come i quadri antichi di un castello diroccato oppure come una scultura di pregio conservata nel caveau di qualche banca svizzera.
Ebbene, no. Il Partenone è un organismo che vive nei respiri degli abitanti di Atene e di tutta la Grecia, è un simbolo fatto di pietra, inamovibile dalla rocca dell’Acropoli eppure presente in ogni casa, in ogni porto, in ogni monastero, in ogni roccia del più piccolo e sperduto paesino greco.
Chiederlo a garanzia, come si fa con un Picasso semisconosciuto o con i Girasoli di Van Gogh, significa aver perso di vista il significato di culturale, detto di bene, ma soprattutto di world, detto di heritage.
Questo è il commento più superficiale. Quello che riguarda l’aspetto “estetico” della crisi greca: monumenti, Acropoli, Partenone, cultura greca, cultura mondiale, opere d’arte, antichità.
Chi voglia approfondire la questione e immergere la mano fino al braccio nelle acque stagnanti dell’economia europea, si renderà conto che l’intera storia del “fallimento greco” costituisce una pagina vergognosa della politica moderna e contemporanea. In quell’ottica vergognosa, il Partenone è una merce di scambio, in un agire eticamente corretto, la Grecia deve avere la possibilità di reagire alla macchina internazionale che la sta sacrificando in nome di una già fallita politica economica. Allora in questa nuova ottica dell’etica, il Partenone è già fuori dall’Europa: è dentro la Storia.
Io continuo ad aspettare che gli riappiccichino sopra i marmi scippati, povero Partenone…