Espero guardò fuori dalle nubi
(ma quando arriva?), Espero fu il solo
che convinse Demetra a dissetarsi,
quando correva sulle ignote tracce
della figlia rapita.
Rispolveriamo Callimaco, che nel suo Inno a Demetra ripercorre il viaggio disperato della madre alla ricerca della figlia. Demetra e Persefone/Kore separate da un odioso rapimento che nel mito tocca alla figlia, ma nella realtà ha portato la madre lontano, oltre Oceano fin nelle sale di un Mouseion moderno modellato sull’antico.
Finalmente la madre torna dalla sua Kore, da sua figlia. Così salutiamo il rientro in Italia della statua di Morgantina, la cosiddetta Venere, ma probabilmente Demetra – con cambio di lingua e di attributi – rientrata nel Museo di Aidone grazie anche all’interessamento dell’Università Kore di Enna, corso di Laurea di Archeologia del Mediterraneo.
Il buon Indiana Jones ha abituato legioni di ragazzini e ragazzine a pensare all’archeologo come a colui il quale se ne va in giro con la frusta (immancabile!) e il cappello sgualcito, un completo color sabbia del deserto egiziano, sudato da far paura e riconoscibile dall’odore a miglia di distanza… ma cosa fa, di preciso, ‘sto archeologo?? Rincorre un oggetto misterioso, che fa rima con prezioso, armeggiando con carte geografiche sempre inesorabilmente strappate nella parte cruciale, i cui frammenti sono nascosti e gelosamente custoditi da persone, solitamente, poco raccomandabili… Quando trova l’oggetto è il suo turno di essere rincorso, braccato, regalando indimenticabili inquadrature mozzafiato e un bel po’ di sana ironia (questa, davvero, insieme al sarcasmo, immancabile in un archeologo…!).
Una volta esaurita la forza di Indiana Jones è spuntata fuori, quasi da una quota rosa non richiesta, Lara Croft. Ecco… Lara… nome una volta legato al romantico nichilismo russo, oggi ormai segnato da una coppa tra F e G. … Lara, armata di tutto punto, sudata nei punti giusti, sempre più lanciata nella ricerca dell’oggetto del desiderio. Meno misterioso, a volte, ma decisamente prezioso e per questo bramato ancora e sempre dai cattivoni di turno.
Trame meno intelligenti quelle di Lara Croft, ma tanti spin off televisivi (ad esempio Relic Hunter) che hanno come comune denominatore questa eterna corsa, gara, inseguimento… di cosa? Di un vaso, manoscritto, arca, urna, calice, gemma, collana e chi più ne ha più ne metta, che sarebbe il soggetto più fermo e docile di questo mondo, se non passasse attraverso mani avide e – mediamente – ignoranti o – ancora meglio – intrise di superstizione.
Queste figure di archeologi di celluloide devono infatti affrontare persone pericolose che non hanno compreso il reale valore dell’oggetto che hanno tra le mani: spesso il manufatto che getta una luce su un’antica civiltà è oggetto di venerazione da parte di una setta moderna. Quel che colpisce è che il cimelio, involontario protagonista dell’intero film, passa da una condizione di precarietà “viva” a una di sicurezza “imbalsamata”: dopo aver trascorso decenni o millenni negli anfratti più pittoreschi dei suk di mezzo mondo, eccolo recuperato e relegato all’interno di un’asettica teca di vetro. Fa quasi strano, ne vogliamo conservare la bellezza e non troviamo altro mezzo che metterlo in formalina. … sarà…
Oggi, però, la musica sta cambiando, la finzione scenica rimane indietro rispetto ad una realtà che la supera e forse la aggiorna. Non ci sono più archeologi sudaticci, bonazzi ma poco presentabili in società; non ci sono più reperti misteriosi; non si tratta più di una lotta tra scienza e incoscienza.
Rimane la “caccia“, ecco, quella sì. Che si fa a tratti più tecnologica, ma solo a tratti. Oggi i reperti sono sottratti da archeologi e cercati da magistrati. Oggi la lotta è tra Istituzioni museali, così l’oggetto del desiderio – una volta recuperato – è liberato da una teca per essere riposto in un’altra, quella legittima. Oppure è dissequestrato da un caveau di banca per un ordine di sequestro emanato da un’autorità giudiziaria.
Oggi nel Museo di Aidone ritorna, perciò, una statua scomparsa dall’area dello scavo diMorgantina negli anni ’50 (le ricerche erano affidate all’Università di Princeton, New Jersey) e riemersa nel Getty Museum di Malibu. Nel 1988 il Museo statunitense acquista la statua e per farlo ha bisogno delle assicurazioni di esperti: nel suo statuto la clausola è che ogni acquisto deve avere una provenienza certificata… ma in quei mesi del 1988 al Getty non si pensa al contesto di rinvenimento, quanto all’accreditamento di chi fa da padrino all’acquisto.
La caccia alla statua è stata raccontata nel volume Chasing Aphrodite, di Jason Felch e Ralph Frammolino, due giornalisti allenati alle inchieste, poco sudati e poco armati, forse, ma altrettanto determinati a ricostruire gli intricati passaggi della statua.
Quello che hanno scoperchiato è stato un contenitore di miserie e egoismi, di personaggi biechi e avidi ma anche di scienziati, di fama internazionale, troppo presi da soliloqui artistici per comprendere cosa stessero facendo.
Sottraendo un bene comune. Svendendo un’identità. Innanzitutto quella della statua, da sempre nota come Venere, ma più probabilmente una Demetra. In secondo luogo quella del santuario siciliano, privato della statua di culto. In terzo luogo la nostra. Proprio di noi, ignari spettatori di questi cacciatori di tesori, che non ci rendiamo conto di come quei tesori siano i nostri, ci appartengano di diritto in quanto eredi di civiltà più eque della nostra.
Non poteva mancare la polemica ottusa sul luogo più adatto ad ospitare la statua della dea. (!) Dopo atti giudiziari passati sotto silenzio, con un’opinione pubblica tenuta a debita ignoranza, con un lavoro certosino ed esecrabile di scollamento dalla realtà e annullamento delle coscienze, ecco che si vuole creare un falso problema: la sede più consona.
Speriamo che la benevola dea, già una volta adirata con gli esseri umani, decida di intercedere presso le nostre coscienze e aprirci gli occhi: siamo noi la vera parte lesa di questi giochi istituzionali.
Noi che ci indigniamo quando crolla un muro di Pompei, ma ci lasciamo guidare dal primo che passa se ci offre una visita “esclus-iva” ai luoghi solitamente chiusi del sito archeologico. Noi che lanciamo accuse al Ministro di turno, ma ci riversiamo nei Musei solo quando sono gratis. Noi che stiamo attenti alle Moschee abusive, ma non ci chiediamo a chi hanno affidato i restauri del Colosseo romano.
Il ritorno della dea di Morgantina è stato preceduto dalle manifestazioni dei Nostoi, cioè dei rientri in Italia di vasi e altri reperti finiti anche loro nel museo californiano. Sembra un fatto quasi banale: brutti cattivoni ignoranti e senza scrupoli che fanno mercato di oggetti sottratti da musei o scavi italiani.
Eppure, leggendo tra le carte dei processi, alla ricerca anche del più piccolo indizio, scopriamo che i cattivoni spesso non sono brutti, nemmeno ignoranti, sono solo lo specchio della nostra indifferenza.