“E gli Ateniesi diedero a Pothimo, il marionettista, l’uso della scena su cui Euripide aveva rappresentato i suoi drammi”
Ateneo, Deipnosophistai Epitome I, 35
Le origini antiche del teatro delle marionette sono attestate in brevi frasi sparse tra le opere di molti autori, sia greci che latini. Dal canto suo, l’archeologia ha riportato alla luce molti esempi di bambole “snodabili” che, in scala ridotta e nei materiali più vari (argilla, legno, avorio, ecc.), sono senza dubbio antesignani dei più classici burattini. Senza dunque approfondire l’argomento e dando per scontata la presenza di spettacoli teatrali dedicati ai più piccoli nell’Atene dei grandi drammaturghi o nella Roma repubblicana e imperiale, facciamo un salto di qualche secolo e proviamo ad accostarci al mondo in controluce del teatro delle ombre, turco e greco…
Il teatro delle ombre, con le silhouette snodabili dai grandi nasi e dalle grosse labbra rosse, le bocche sempre aperte e gli abiti dai colori sgargianti, ancora oggi viene rappresentato per grandi e piccini (e turisti) sia ad Atene che a Nauplio e nelle principali città. Le strabilianti avventure di Karaghiozis e di Hatziavatis prendono spunto dalla vita quotidiana e mettono in farsa i gesti e i pensieri del popolo, dando un po’ di sollievo dalle pene del vivere. Ma non si pensi che sia una “invenzione” greca – sindrome ellenica del protos euretès!
La storia leggendaria, o forse fin troppo verosimile, racconta di un sultano che nel 1326 volle fare costruire una moschea a Bursa: le continue scaramucce tra due manovali divertivano i compagni ma rallentavano i lavori, così i due furono condannati a morte ma conobbero una fama eterna perché lo scambio quotidiano divenne il canovaccio per le storie di Karagoz e Hacivat.
Dunque la farsa del vivere di ogni giorno: l’essere umano, agito dal destino, che si prende una piccola rivincita, utilizza una riproduzione di se stesso e diventa lui il destino. La marionetta si carica del bene e del male e riproduce su di un palcoscenico le azioni stanche e ripetitive di un’esistenza senza speranza: nella Turchia ottomana e nella Grecia che cerca di dare un senso all’indipendenza appena ottenuta. Le storie dei due manovali – che in Grecia adattano i propri personaggi al contesto sociale – diventano un modo per ridere delle disgrazie proprie e immaginare quelle altrui; non ci vuole molto per farle diventare una forma di satira e di critica politica e sociale.
Le marionette in scena a Palermo, Catania e Napoli sono protagonisti di storie che sembrano confinate nel Regno delle due Sicilie… La tradizione parrebbe esclusiva delle regioni del Sud d’Italia e le origini di questa tradizione sono molto simili a quelle del teatro delle ombre turco e greco: la farsa come mezzo per rivalersi di un destino da sudditi. Oggi, per ricordare proprio queste origini, alla fine di ogni spettacolo di pupi si mette in scena una breve farsa, rigorosamente in dialetto.
Ma nel teatro italiano si affaccia un’altra tradizione, più forte e decisamente caratteristica: in Italia la marionetta acquista un corpo tridimensionale e attinge nomi e caratteri dalla saga dei Paladini di Francia. E allora ecco che i nomi dei burattini italiani – che si chiamano pupi, come le pupae romane, le bambole – sono Orlando, Rinaldo, Carlo Magno, Angelica, Bradamante, Gano di Magonza, che si scontrano con i Saraceni dai nomi evocativi come Troiano o Falsarone. La lotta vede contrapposti Cristiani e Musulmani, in una presa di posizione che – stando alle parole degli stessi grandi pupari – non aveva un significato limitato alla guerra di religione ma diventava la riproduzione di uno scontro più concreto e reale: quello del popolo contro l’oppressore.
La nobiltà di lignaggio, prerogativa dei Paladini, diventava allora nobiltà d’animo e cavalleria nei modi e nei pensieri, contrapposta alla barbarie dei Saraceni, cioè di personaggi che spaventavano perché giungevano da luoghi lontani per depredare; guarda caso i Saraceni si alleano con gli Spagnoli, un aspetto fondamentale per i pupari del Regno delle Due Sicilie.
Le rappresentazioni dei teatri di marionette si diffondono in Grecia e in Italia in circostanze analoghe: verso la metà dell’800, quando i due Paesi stanno costruendo la propria indipendenza.
Ieri, giornata della Theofania nella tradizione biblica, o dell’Epifania in quella riveduta e corretta dei Padri della Chiesa Cattolica Romana, ho assistito al mio primo spettacolo di Pupi siciliani. In contrada Borgo Vecchio, nel teatro della famiglia Mancuso, è stata rappresentata la storia della Voce incantata del Re Bramiero. La storia deve essere una delle meno note nel ciclo dei Paladini – che i teatri di pupi riproducono fin nei minimi particolari, un tempo nell’arco dell’intero anno, oggi in una settimana o poco più – ma è una riproposizione dell’eterna lotta tra Paladini di Francia e Spagnoli alleati dei Saraceni. Il Re Bramiero sfida i Paladini, forte del regalo di una maga: quando vede la mala parata gli basta pronunciare a voce alta una parola e subito il suo avversario cade a terra, tramortito dall’incantesimo. L’idea di una voce che incatena, affonda le radici antropologiche nel fertile terreno dei poemi omerici e riaffiora tra gli scogli su cui le Sirene aspettano pazienti le loro vittime. Dunque non può stupire che il lieto fine sia affidato a della semplice cera messa nelle orecchie dell’ultimo Paladino rimasto in campo per combattere il feroce Bramiero.
Ciò che lascia più perplessi è forse il modo in cui tale soluzione viene trovata: è il negromante Malagigi che, consultando un demone suo confidente, scopre il tranello e decide il da farsi, d’altro canto lo stesso Ulisse si era dovuto affidare ad una maga – Circe – per eludere il fascino mortale delle crudeli cantanti.
Ecco che i Paladini trionfano ancora una volta sui Saraceni… curioso… proprio ora, proprio oggi…
La cattolica Epifania – l’apparizione di Dio alle genti, ai Magi, quindi, che non appartengono al Popolo Eletto – è rimasta Theofania presso la cristianità ortodossa e oggi gli Ortodossi festeggiano la prima apparizione del Dio fatto uomo, il Natale di Cristo. Oggi la comunità copta d’Egitto cerca di capire quanti attentati dovrà ancora subire e quanti si sentirà spinta forse ad organizzare, perché è stata scelta per l’eterna rappresentazione dei Cristiani contro i Saraceni. I pupi ci insegnano che è facile battere i Saraceni: basta non ascoltare.
Tutti sono chiamati allo scontro, non importa se devono cadere sul campo di battaglia, l’importante è che ci sia qualcun altro disposto a scendere in campo dopo di loro.. e con l’elmo calzato e le orecchie tappate basta andare, lancia in resta, contro il nemico che parla una lingua che non vogliamo comprendere.